Lo chiedo alla notte

 
     

 
 
 
Stanotte vorrei farmi tuono.
Per rompere il silenzio e colmare ogni pensiero. Perché nell’attimo del tuono esiste solo il tuono, non si sente altro, satura, colma, emoziona e gonfia il cuore.
Vorrei farmi lampo, ma non prima del tuono, dopo, prima della luce che si fa attesa che arrivi il suono, capovolgendo la natura. Che sia, la luce, attesa per una volta, e non il suono. Per rubare un grido felice di stupore.
Luce assoluta, di quella che abbaglia e cattura. Sguardo, sogni, pensieri.
Quella che vedi solo lei e dopo vedi attraverso lei. Che rende magica, nelle tue retine abbagliate dal lampo che squarcia, ogni cosa, te le svela nella natura più segreta, e anche le cose più consuete le fa nuove.
Vorrei essere acqua e poi sole. Evaporare e poi tornare, ma con un ciclo infinito e all’acceleratore. Per giocare mille volte con il tuo stupore. Fino a che ti divertirai e riderai felice del tuo stesso stupore.
E poi giorno-notte-giorno-notte e poi giorno ancora.
Sia in quella pioggia che in questo alternarsi di luna e sole essere come se fossi in un documentario accelerato, quelli che mi emozionavano da bambino. Dove tutto mai finiva e correva così veloce. Luce, ombra. Luce. Per vederti stupire. Quelli che in ciclo in interrotto vedi un seme, l’acqua che cade, un germoglio farsi stelo, poi bocciolo, poi fiore. Poi frutto, e seme.
E sai arriverà l’acqua a farlo rinascere ancora.
Lune e ombra, giorno e notte.
Vedere il volto di fronte a questo miracolo riflettere la luce, rabbuiare e sorridere, senza nemmeno il tempo di una pausa perché il buio possa diventare, anche per un attimo solo, buio vero. Solo un gioco di prestigio per una bambina seduta lì a guardare.
Vorrei avere mille parole.
Un telefono, anche quello coi barattoli e senza altro cavo né elettricità che un filo di spago mi basterebbe per dire ciò che anche in silenzio si può sentire. Una voce che possa valicare strade e paesi.
Correndo strade sotterranee solo sue, a tutto il resto del mondo ignote.
Vorrei essere in autostrada verso una pergola di una vincente primavera, e una tovaglia - a quadrettoni - che attende passi tra i tralci ancora spogli di foglie, vincitore un'altra volta, il sole.
Vorrei, voglio. Lo chiedo alla notte.
Per favore.