Nocciole

 
 
 
Nel bar del porto, l'odore della torta schiacciata dalla forchetta nel piatto dalla donna blu, a raccogliere l'ultima briciola, zampettando dal brodo al centro, inseguendo l'ultimo frammento di sapore.
L'uomo al bancone, col grembiule corto grigio allacciato, asciuga gli ultimi bicchieri lasciati da lavare la notte prima, tardi. Dalla finestra aperta si insinua sbieco il sole di un'alba protratta, rinviata e attardata dal buio della tempesta. Come un prigioniero in fuga dalla notte innaturale della cella
Un fascio di sole, scappato fendendo la nuvola più alta e nera e ancora carica di vento fulmini e tempesta.
Dalla finestra, scivola, sul raggio che si apre e allarga, che disegna la sua traccia attraversando diagonale la stanza, una canzone.
Qualcuno fuori canta a mezza voce.
…You must try some of my purple berries . I been eating them for six or seven weeks now, haven't got sick once. Probably keep us both alive.
Wooden ships on the water very free and easy…

La voce sfuma poi nel passo.
Si alzano le grida di richiamo alla barca per il lavoro mattutino di due anziani pescatori.
Nocciole. Tutta colpa delle nocciole.
Se in quel bar, l'avventore entrato poco dopo, il piatto con le briciole più piccole lasciate dalla donna già rimosso, il pavimento spazzato, il bersaglio con le freccette all'angolo, chiuso nelle ante scure, se l'uomo entrato a cercare un attimo di sosta , avesse chiuso gli occhi, cosa sarebbe successo? Cosa avrebbe sentito?
Senz'altro il rumore degli ultimi bicchieri riposti sulla rastrelliera a luccicare alla luce dei faretti incastonati giallo oro sempre accesi sul soffitto.
Poi quell'odore di nocciole. Crema e frutto tostato. Permanente nell'aria, misto al legno scuro e impregnato di ogni tabacco e caffè e liquore che sale da ogni tavolo…
Nocciole mescolate nella cucina nel retro, anche oggi, per rinnovare l'esposizione sul bancone, dietro il vetro.
Insegna per i ciechi, striscia di olfatto, lusinga sottile di bosco e zucchero burro scorza sottile di limone, ad indicare la strada, la porta e il locale nelle mattine di primavera, quando le finestre del vecchio bar restano aperte e scivolando tra le ante spalancate le nocciole sono nell'aria fino alle reti, lì, a fianco della bitta.
Poi l'uomo ad occhi chiusi credo sentirebbe sempre una canzone. Al porto cantano in tanti.
Spesso.
Persino per il motivo che in quel momento in fondo non c'è nessun motivo per cantarla.
O forse il motivo c'è, sempre e comunque, anche adesso.
Per cacciare la nuvola e la tempesta che gira in tondo e chiude tutti nell'ormeggio.
O per ringraziare il sole.
Oppure per la meraviglia delle reti nuove.
O quelle vecchie riparate per la millesima volta, chiacchierando seduti sulla bitta.
O perché il marinaio ha ancora sulle labbra il sapore della torta.
Oppure solo perché ci sono giorni strani che ogni marinaio ha, semplicemente in testa, la sua canzone.
L'uomo nel bar ascolta le nocciole e le parole.
I gabbiani volano in cerchio un volo senza fine, e l'uomo ad occhi chiusi canta una nuova armonia senza voce.
Guinnevere had golden hair like yours, mi'lady like yours. Streaming out when we'd ride through the warm wind down by the bay.
Yesterday. Seagulls circle endlessly.
I sing in silent harmony we shall be free.