Isole



(Finito di scrivere sabato 20 marzo 2004. 15,23. Meriggio con nebbia alta, su in collina)

 

 

 


 


Chi nasce in una città sul mare, davanti e dentro il mare, lo sa.
Sa sin da sempre che ci sono destini anche già scritti che ti legano a quell’acqua.
Genova è solo un porto in fondo, con case e strade a corollario.
Guarda quel mare e vede oltre l’orizzonte disegnato, curvo e regolare.
Di quell’acqua coglie l’inquietudine mai doma.
Questione di rumori,. forse di odori, non li senti neanche più, li hai dentro.
Rumore d’onda e di risacca.
Ritmo variato ed incessante che trasporta merci, uomini e pensieri.
Odore di mercanzie antiche e nuovi sbarchi.

Dietro ogni odore, una storia, una almeno,

che forse non è nemmeno nata per essere narrata.
Era destino, quindi. E non la scelta.
Nato sul mare, molto era già scritto forse in quel panorama

di moto inarrestato e viaggiatori inquieti.
Mari che ho solcato e ora divenuti solo approdi del ricordo

e odor di sale e pesce e umido di stive nel bagaglio, ancora da disfare.
Navigazione strana.
Parti, ragazzo, la testa alta e solo idee bollenti, verso la grande Meta.
Tutto vedere, tutto conquistare, tutto da rubare, viaggi, isole, persone,

alberi strani e silenzi di brezza, ingordigia sfrenata di passioni

e poi serbare, per notti lunghe e senza sonno, in taverne affumicate, in qualche porto.
Per chiacchiere fumose di ubriachi, d’acqua salata forse e non di vino.


Navigazione strana, ti dicevo, amico.
Offrimi ancora un bicchiere, per favore.
La gola è secca e la parola stenta. Bagna col vino il mio ricordo e fallo disseccare.
Navigazione strana, ti dicevo.
Mi incoraggi a narrare…Allora…Ascolta.

Parti, ragazzo, con una grande Rotta.
Percorso tratteggiato tra isole e correnti.
Facile a vedersi sulla mappa, catena di mete immaginate, rotta della scoperta.
Poi, navigando, scopri isole che non avevi mai considerato.

Forse sulla tua carta nemmeno punteggiate.
Un approdo assolato.
Un golfo ben nascosto e di emozione grande.
Correnti che ti portano lontano, anche, a volte dalla prevista tappa.
La barca che ha problemi. E lunghe soste oltre il programma.
La barca, sai è sempre quella, oggi la verniciavo quando mi hai trovato.
Non chiedere mai al marinaio di rotte, isole e correnti, non ti avevano avvisato?

Perché poi lui tira fuori, su un tavolo di legno,

odore di vino vecchio rovesciato e rovere annerito, vecchie pagine,

diari di bordo e di navigazione.
E ti parla di leggende. Mostri marini, naufragi ricordati, isole e donne.
Grazie del vino. Apro quei fogli, adesso.
Ascolta.


Isola di N.

Son fogli alla rinfusa, non temere...Sono pochi.
Quelli che ho trovato.
Tratti da vari libri scritti poi nella notte, sai, sotto coperta, quando restavo solo.

E aspettavo solo l’alba e il giorno nuovo che saliva.
N. è l’isola improvvisa.
Incontrata per caso.
In un periodo di tempesta.
E, come in un vecchio film con Errol Flynn, poco sicura anch’essa.
Donna di poche notti. Parlava poco ma guardava.
Un sesso che avvolgeva.
Non era penetrarla, mai il mio atto.
Lei era umida e calda e mi avvolgeva.
Sesso che sa di muschio calpestato.

E consuma amplessi in piccole stanzette, letto sfatto e sporco del mio sperma.
Di lei conservo gli occhi e l’umido abbraccio.


Isola di P.A.

Grazie del nuovo vino.
A P.A. ci arrivai ragazzo.

Un’isola difficile ed ostile ad ogni approdo.
Sai, quei posti che tutti sognano ma poi non dischiudono mai entrate in porto.

Irta di scogli sino all’angiporto.
Come abbia trovato strada per quel letto ancor non so.
Amica di tanti e donna di nessuno.
Sfrontata e scellerata nel parlare. Amava metterti su un palco e farti poi cadere.
Offrire a tutti i suoi trionfi e i lividi dolenti del compagno del momento.
Donna con rivincite da conquistare per sconfitte poi mai avute, mi capisci?
Donna che non sa offrire ombra né acqua a dissetarti se ci fai naufragio.
Saliva e scendeva sul mio cazzo, regolare.
Ritmo incessante da lei determinato.

Rallentava poco, a volte, se mi sentiva troppo teso ed impaziente.
E gonfiava il desiderio mio, con colpi di bacino, fragorosi, quando voleva la vittoria.
Ricordo i seni, grossi e sempre scossi, sopra il mio viso.

Tirati indietro dal suo busto, la fica sua affondata sul mio cazzo,

la schiena arcuata all’indietro nei suoi orgasmi.

Dammi ancora vino, per favore.
Siamo rimasti soli in questo luogo…Hai visto? Meglio perché col vino parlo forte…

La voce non controllo. Se bevo troppo mi accompagni poi, alla barca?

Isole di A. e A.P.

Isole gemelle.
La rotta ci passava in mezzo.
Proprio in mezzo.
Una con seni piccoli e puntuti, l’altra così diversa, opulenta e golosa al mio pensiero.
Capita ai marinai di non saper scegliere approdo.
E di mancare in un corteggiamento.
E la corrente poi ti porta oltre.
Sai che in quelle isole non tornerai. Resta un rimpianto, di scelte non vissute, forse.
Di loro so solo poche cose, contorni visti da lontano, anfratti immaginati,

spiagge di abbandono mai calpestate. Forse un rimpianto, solo.
Le ho riviste un anno fa, navigavo con un’altra.

Il loro riso è quello che schernisce il marinaio frettoloso, ancora adesso.


Isola di K.

Isola veramente sconosciuta.
Ancora forse a me ignota.
Terra di un linguaggio non compreso, il suo, e non condiviso, il mio.

Isola senza parole.
Lingue diverse…un muro?
Scoperta di linguaggi - frasi senza parole - non parlati.
L’isola più selvaggia.
Bella e bollente, sotto un sole nordico dai calori insospettati.
Parole poche ma scoperte.
Di come urla il corpo in un abbraccio.
Foresta di palme e datteri e canneto il suo pube.
Oasi ombreggiata tra le cosce. Acqua di stagno il suo umore, ogni tuffo affogavo.
Cosce nervose serrate alle reni.
Fiato caldo e affannato, freddo forse un po’ intorno, in camere mai riscaldate.

Nuvole di respiro condensato che bolle in aria fredda.

Alido caldo e congestionato dall’orgasmo. Disegna nuvole e anche parla.
Di abbandono, piacere e amore, più delle parole.
Che io, comunque, non capivo.
Ricordo quelle gambe e quelle cosce.

Muscolo da ciclista, l’Europa aperta su due ruote,

piccoli peli rasi con dolcezza di donna e di sportiva. Gambe serrate strette alle mie reni.
Morsa che mozza il fiato e che ti inchioda.

Cazzo piantato in quello stagno, bloccato dalla morsa.
E il movimento, lento e accelerato delle reni, le sue.
Immobilizzato nello stagno solo la sua torsione, a spremermi e svuotarmi.
Mai una parola dolce, da amanti, ansiosi o rilassati, detta e da me capita.
Sensazione forte dell’inutilità di cose dette o scritte.
Vive lontana. Mare più e più freddo di quello che carezza questo molo, adesso.
Altri si bagnano da tempo nel suo stagno.


Isola di M.

Isola dei pirati.
Anni di donne pirata.
Gonne lunghe, zingare e pirate.
E orecchini grandi, cerchi d’oro all’orecchio.
Rivolta di ribelli.
Isola inospitale a volte. Ospite tollerato per necessità biologica, forse, solo, a volte.
Piacere di scoperte però anche.
Lezioni di rispetto e di attenzioni prima trascurate.
Non per inedia o volontà…donna che dà lezione insegna e guida.
Scoperta di attenzioni ed esercizi che ignoravo.
Resta una grande gratitudine alla fine per l’isola pirata.
Docente di scoperte fatte insieme.
“Quello che hai fatto e fai a me io lo rifaccio..sai?
Preparati ad essere esplorato. Percorso e violato.
Leccami, asciugami, bevimi il piacere, io te lo renderò.

Quel dito, porco, che mi sta esplorando, attento, dopo, te lo rendo…”
La gonna lunga era buttata sulla sedia.
Anche ogni mio pudore era per terra.
Non li ho raccolti dopo, non potevo.
O forse mi ha spiegato, lei, non ne era il caso.
Pirata e ladra di emozioni e di scoperte, vera maestra, generosa.
Si è tenuta i pudori, io la scoperta.

Accompagni alla barca adesso, per favore.
Sorreggi il passo.
Non berrò più così, così sto male.
Basta.
Grazie... Poi se domani vuoi, per un bicchiere in cambio, ti racconterò di viaggi ancora.
Mostri marini, naufragi ricordati, isole e donne.
Grazie del vino. Ne berremo ancora…


Postfazione.

E me ne scuso.
Chi è arrivato fino qui, attraverso le mie parole, sa.
Sa che scrivo per chi legge e solo per chi sa leggermi un pochino…mi conosce.
Scuse quindi agli altri viandanti di parole.
Scrivo con una gatta,rossa, libera e selvaggia, piccola, e affettuosa a volte,

sdraiata dorme, ronronfando, affianco alla tastiera.

Ha respiro regolare e profondo. Isola di gatta, in fondo.
Ho frequentato veramente anni fa un porto, qualche notte.

Isola di Tilos, piccolo anfratto tra gli scogli.
Taverna sporca e tavoli consunti.

Un marinaio, grigio di testa e con occhi anch’essi grigi,

parlava a me, castano e azzurro, sapendomi forse, col tempo, adatto al grigio.

Di testa e occhi.
Raccontava naufragi fatti e visti, isole fascinose, traffici a volte loschi ed illegali,

donne stupende amate e a volte anche comprate,

solitudine di notti in mezzo al mare, amici persi nella vita.
Erano notti di retzina e achaia rosso in un angolo di Dodecanneso, al fresco di una notte.
C’era un donna che dormiva sola, in una camera là sopra

e un viaggio di parole, belle nell’alcool e nella mente.
 


Dedico senz’altro a Costas il racconto del mio viaggio, splendido Omero anarchico,

involontario poeta e affabulatore, occhi grigi accesi contro la barbarie militare,

generoso amico di alcune notti, regalate a chi ascoltava.
Non so se è ancora vivo o se ha trovato un porto a cui arrivare ed ha ormeggiato,

tra barche e altri marinai, compagni di baldoria, naufragio, viaggio

e donne raccontate con languore mai esausto.

Dedico ai naviganti, tutti, che conosco. A quelli che hanno avuto rotte e incroci con le mie.

A quelli che aspettano, sul molo, nuovi imbarchi.

Dedico alle donne, poi. Tutte. Perché ho scoperto nel mio viaggio che non c’e’ isola,

non c’è, che non abbia sole e ombra, e angoli nascosti

per dar pace ed inquietudine a chi viaggia.

Loro sono l’unico viaggio da viaggiare e il resto è nulla.

Dedico alle “mie” isole, poi.

A quelle che ho esplorato, sempre con occhi di bambino, emozionati e nuovi.
Isole calpestate, alcune, altre sognate solo all’orizzonte di sbarchi mai vissuti.
Grazie delle tante vite regalate e, a volte, ricevute con frettolosa incuria.

Ora mi siete ancora più preziose. Grazie.

Dedico all’isola in cui vivo, da tempo ormai lontano, irrequieto e affamato a volte,

a scrutarne l’orizzonte, conscio di arcipelaghi e rotte ancor celate

che forse non mi sono riservate.
Isola paziente e comprensiva, scegliere un marinaio è scelta dura. E coraggiosa.

Sa che c’e’ una barca, in porto, sempre. Pronta alla partenza.

Dedico ad un’isola ancora inesplorata, ne vedo in lontananze foreste,

monti e fiumi e grotte ben celate… Di cui non scriverei, non ne ho diritto.

Dedico poi a chi, forse per noia di giornata, o assenza di attrattive più gradite o amicizia forse,

è giunto sino a qui, questa parola e questo punto.
Ho aperto pagine sgualcite di vecchi diari di bordo mai finite.
Prendetele per quel che sono.
Vino grosso di taverna e forse. Nostalgie destinate a non sopirsi.

Le pagine son poche e me ne scuso. Altre sono ormai perse.
Alcune anche strappate dal quaderno, a cancellarne ogni traccia,

tolto l’orlo irregolare di una pagina mancate.
Scusate anche le dediche… Se sono lunghe, troppo.

Ma delle mie parole a me importanti sono solo gli occhi e la mente di chi le ha lette.
Lette per amicizia.
Lette per affetto.
Lette perché, forse, oggi,non c’era niente di meglio da fare.


Dimenticavo…E ne sorrido, adesso…
La mia barca è giù, al porto. La vedete subito. Necessita una mano di vernice. Il nome? Scritto e cambiato varie volte.

E’ nave vecchia ma sicura se della sicurezza poco importa.
Ha cabine e gavoni per chi viaggia. Se parte, vi imbarcate? Un po’ di spazio lo riservo?


 

 

 

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