Al sole.
Dell’inizio di una primavera che si era fatta desiderare a lungo.
Dopo interminabili altalene, finalmente il calore.
Sulla pelle nuda del mattino.
Con quell’odore di terra fresca, umida ancora delle prime mattine tiepide, schiusa di lucido riposo della notte, quasi condensa ad asciugare sul collo di una bottiglia ancora troppo fredda sotto un sole che perde timidezza giorno dopo giorno.
Al sole.
Nel giardino, davanti alla casa, a picco sulla valle ancora spoglia di alberi e di foglie.
Lui le è alle spalle. Fermo.
Silenzioso.
La guarda e ne segue, aderendole con gli occhi al corpo nudo, ogni piccolo movimento ancora legato dal sonno da poco interrotto.
Lei si strofina con morbido languore il viso, gli occhi, il collo.
Da poco si è svegliata, gli occhi ancora torbidi del sonno accolgono la carezza, ripetuta, con cui li aiuta a trovare fuoco, e luce, per poi volgere lo sguardo attorno.
Si fa leccare con voluttà e voglia di calore ogni millimetro del corpo dal tocco del sole, nuda e illuminata in pieno sembra quasi lucente. Nel controluce in cui lui la guarda.
Silenzioso ora le è arrivato alle spalle.
Senza un rumore o un suono.
E’ il loro gioco di sempre.
Le bacia il collo all’improvviso, lavandolo mentre lo percorre deciso quasi con la lingua.
Posa la lingua umida, sembra infinita a lei che la sente solo alle sue spalle, e la lascia scorrere, ecco, ora la saetta, sembra battere, dardeggia, ora invece la lecca.
Da dietro, solo il contatto della lingua e del ventre che si è appoggiato a lei, ora la spinge.
Con decisione.
Spinge la schiena finchè lei cede, sotto di lui, arrendevole, e si adagia ventre al suolo.
Lei si lascia sciogliere nell’umido del bacio, dalla lingua che pare un serpente e vibra di saliva, lei come sempre cede. Lucida dove la lingua ha corso.
Ora lei a terra lo attende, lui dietro, alto alle sue spalle, carico di voglia, attende un attimo, la guarda giacere offerta e la sovrasta.
Incombe, rinviando ancora un istante il piacere della presa. Fermo, la guarda.
Lei non si muove. Trema solo impercettibilmente e attende.
Ora l’indugio cessa.
Spinge la schiena di lei con decisione e forza, posandosi al suo dorso, appoggiandosi violentemente e la fa aderire, schiacciata, prigioniera, ventre a terra.
Il culo di lei è alto, sollevato, esposto, oscenamente offerto, nudo.
Lei sa che basterà la vista di quel culo ad eccitarlo.
Definitivamente.
Lo offre al suo sguardo, lo protende, senza poter vedere il lampo della voglia nei suoi occhi. Che immagina per averlo visto mille e mille volte perfettamente.
Dietro.
Alle spalle. Due occhi incollati a quella fonte.
Lei vede solo il suolo e una striscia di sole all’orizzonte, quasi la acceca. Lui spinge.
Schiaccia.
Forza.
Apre e dilata brutalmente.
Carica del suo peso la pressione a schiuderla e a entrare. Scivola facilmente.
Lei era pronta. Lui penetra colma, invade, allarga, sfrega, riempie.
Si infigge come un chiodo e nel farlo la comprime, lei è totalmente sovrastata ora, tanto che dall’alto vedresti quasi solo lui. Lei gli è scomparsa sotto.
Lei sotto, sepolta da lui che la sta prendendo e la ricopre. Un mantello di voglie.
La imprigiona e la trattiene, la circonda di mille braccia e mille gambe.
Lei cede. Morbida.
Si arrende. Si era arresa subito d’altronde alla sua stessa voglia.
Non nega e non reagisce, non scalcia. Non rifiuta.
Non fugge e non fa cenno di scappare a quella presa.
Alza soltanto il culo un po’ piu’ alto.
Quasi oscenamente in quel silenzio strano, sospeso, immobile.
Tutto in silenzio.
Nessun suono.
Nessun rumore.
Solo un lieve sottofondo di brezza che da, col suo va e vieni sulla pelle, percezione di un tempo, che altrimenti sembrerebbe fermo, immobile. Sospeso.
Lei cede alle spinte in un silenzio irreale, si sentirebbe volare una mosca se volasse.
Lui.
Spinge.
Ancora.
Contro quel taglio che conosce e che ha riempito in un istante. Senza preambolo o preavviso.
Spinge come dovesse affondare tutto, cazzo cuore testa, e scomparire in lei, schiacciata sotto di lui a farsi quasi, al suolo a cui aderisce, sua ombra, in quel prenderla violentemente. Senza sosta.
Ogni volta sembra una nuova sottomissione e una violenza. Ogni colpo dentro.
Ma questo è il gioco.
Il loro gioco a primavera.
Lui ancora una volta si impunta a terra e affonda.

Taf
Un solo suono.
Secco. E umido al tempo stesso.
- Mamma ne ho fatti secchi due in un colpo solo -
Il bambino ride felice.
Quasi orgoglioso della sua caccia. E’ a piedi scalzi e brandisce uno scacciamosche.
Rosso, di plastica con la paletta alla fine dell’asta di filo di ferro verde, traforata sporca e molti fori chiusi ora da una poltiglia fresca, verdastra.
Al suolo una macchia informe, umida. Molliccia.
-Lascia stare quell’attrezzo sudicio Marco, e lavati le mani che la colazione è pronta. La facciamo li in giardino, c’è un sole troppo bello stamattina per fare colazione in casa.
Maledetti mosconi permettendo…-


 

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