Spiaggia assolata.
Ombrelloni rossi.
Sabbia rastrellata.
Impronte alternate a rompere la pettinatura del suolo.
Il sole è vagamente velato dalla calura che risale dall'acqua.
Afa di piena estate alla contr'ora.
Il ristorantino all'entrata dei bagni ospita bagnanti per la sonnolenza del dopo pasto.
Un gelato a forzare la bocca e ricacciare il sonno del caldo dopo il pasto.
Una partita a carte, a vincere la noia dell'ora in cui il sole è inaccettabile davvero.
Voci di bambini dietro le terza fila di teli rossi, lite per un canotto azzurro.
Lite di bimbi stanchi per il troppo sole e i troppi bagni.
Una madre commenta seccata che si "sono sfibrati".
Sul trespolo alto, fronte mare, tolda di nave arenata, seggiolone da arbitro di tennis su un campo di sabbia grigia e non rossa,

una giovane donna con una canotta rossa e la scritta "salvataggio" a tagliarla in due

bianca all'altezza dei seni alti e tesi per il costume sottostante.
Le gambe a penzoloni molli dalla seduta alta.

Camminano in riva, a passi svagati, cinque persone.
Tre e poi due.
Le tre di età imprecisabile alternano le parole, me devono essere parole leggere, da spiaggia,

non c'e' né fretta né concitazione nelle loro voci. Le voci si perdono nel rumore lieve di risacca.
Le persone si allontanano a sinistra, verso gli scogli che chiudono l'arenile.
Le due dietro, mosse nella stessa direzione, sono una coppia abbastanza giovane di età.

La donna ha un costume molto sgambato che esibisce ad ogni falcata, con movimento stagliato e forte di coscia lunga e muscolosa.
L'uomo parla.
Gli sguardi degli ultimi bagnanti, attardati sotto la calura umida del dopo pranzo,

seguono i due passanti come l'impronta dei loro passi alle loro spalle.
Scavata nella sabbia a filo di bagnasciuga.
La risacca sale con un'onda più decisa, cancella i passi e come se fosse un segnale anche gli occhi che seguivano la donna,

e il movimento armonioso del culo e dei fianchi, d'incanto girano su altri paesaggi. A perdersi altrove.
Tre file di ombrelloni rossi.
Visti dall'alto, cerchi colorati e ombre, non tutti aperti, con una legge matematica non scritta ad alternare cerchi aperti e teli arrotolati, potrebbero sembrare un quadro.
Forse dipinto così perché i gabbiani amano l'arte.

E in riva, distanziati dalle tre file di ombrelloni a poco più di un metro dall'acqua

lettini rossi affiancati.
A piccoli gruppi familiari.
Quasi tutti ora deserti.
Come gruppi di uno stesso gregge di pecore vermiglie.
A due. A tre. Alcuni gruppi a cinque.
Teli colorati, arcobaleno di cotone, a coprire il rosso dei lettini.

Qualche telo anche al suolo, a fianco.
Quattro lettini. Vicini.
Due coppie.
L'uomo coi capelli corti, il tatuaggio di un delfino a lato sull'avambraccio

e le donna dai capelli rossi, riuniti in coda di cavallo.
A fianco l'altra coppia.
Lei col costume verde smeraldo ridotto a poca stoffa,

e lui che dorme a pancia sotto sul lettino più discosto.
La donna dal costume verde mangia un gelato.
L'altra donna legge svogliata una rivista ricca di vuoto.
Il gelato è un ghiacciolo giallo.
Chiuso in un tubo di cartone che sembra oleato.
Tiene il tubo serrato in mano.
Schiaccia il fondo.
La barra ghiacciata sale. Esce dall'involucro colorato.
L'uomo del delfino è seduto al bordo del lettino.
Guarda la donna smeraldo.
Il ghiacciolo lungo imprigionato nel cartone e nella mano.
La bocca della donna.
La bocca che ha baciato, di nascosto, per caso di movimento errato delle teste, la sera prima.

Era un congedo tra le coppie di amici ma il bacio è scivolato.
Nessuno dei due ha ritratto il viso

quando il movimento asincrono dei visi ha offerto non la guancia ma le labbra.
E le lingue si sono per la prima e unica volta brevemente accarezzate.
Promessa sospesa.
Trepidazione di attesa.
Poi, dopo quel bacio nato per caso, ma seguito a tante reciproche attenzioni,

realizzate e capite solo dopo da entrambi, la sospensione dell'attesa.
I pensieri nelle due stanze vicine, allo stesso piano dell'albergo, piccolo,

quasi a conduzione familiare dove tra le coppie nacque sei giorni prima la prima confidenza

e poi l'embrione di una stagionale amicizia.
I pensieri paralleli e le stesse domande, l'uomo delfino e la donna smeraldo,

a letto con altri, a cercare sonno nella notte troppo calda.
L'uomo delfino sdraiato a fianco della donna dai capelli rossi.
La donna smeraldo, nell'altra stanza col suo compagno che già dorme.

La donna dal costume di smeraldo attacca il suo ghiacciolo.
L'uomo del delfino guarda, a sequenze successive.
Il ghiacciolo.
La bocca che ne serra la punta, succhia, con lentezza ostentata

e poi stacca minuscole schegge gelate coi denti.
La mano che serra l'asta di cartone e stringe alla base.
Seconda frazione di tempo rubata ai loro rispettivi compagni.

Alla donna che legge attraverso i fogli

e all'uomo che dorme con solo la testa all'ombra del tendalino rosso messo a scudo della nuca.
La donna del calippo fissa l'uomo del delfino negli occhi.
La lentezza della lingua che danza e volteggia sulla punta ghiacciata

spremuta dalle dita che serrano l'asta del cartone.
Danza che torna e rilambisce il ghiaccio.
Lingua che pattina sul ghiaccio e lambisce con lentezza di immagine al rallentatore di un cronista.

Non solleva il ghiacciolo adesso…a pochi centimetri dalla bocca fa che siano le labbra a cingerne, nel leggero calare della testa, la punta.
Il calare della testa evidenziato dallo scivolare dei capelli dalle spalle.
Non morde.
Non lecca.
Serra il ghiaccio smussato a punta, come aspettando che si sciolga da solo sulla lingua calda.
E mentre sente il ghiaccio sciolto colarle in bocca, dietro le labbra chiuse sull'asta fredda,

guarda l'uomo negli occhi.
Si stira sul lettino, seduta mentre gode il limone ghiacciato.

Nello stirarsi da gatta insonnolita inarca i seni e tende il costume.
Spiccano i capezzoli tesi sotto il tessuto.
Li offre allo sguardo.

Calippo.
Ridotto a metà della sua asta.
La mano serrata sul cartone. Stretto e compresso e spremuto.
Liquido all'interno del cartone, in basso… Al calore delle dita e della mano che serra.
L'erezione dell'uomo seduto comincia ad essere più vistosa del suo tatuaggio grigio.
Tende persino la morbida caduta dei boxer accartocciati nella seduta a bordo del lettino, sulla pancia.
La donna morde in punta il suo gelato. Corona bianca di denti.
Poi lo lecca di lato a raccogliere una goccia vischiosa e zuccherina,

sciolta per l'esagerazione di asta che ha spremuto fuori dal cartoccio

e esposto al calore dell'aria circostante.
Contr'ora afosa in riva di sponda.
Lecca la goccia colante sul cartone, poi le dita, dove, non avendola frenata con la lingua,

la goccia si è stesa, incollata alla pelle scura e fatta appiccicosa all'istante.
Lo sguardo di lei, piantato negli occhi dell'uomo mentre lecca.

La lingua succhia le dita adesso e le lava.
Gesto innocente se mai altri vedessero solo quello.
Lentezza esasperante di lingua ad indugiare sul limone appiccicoso agli occhi dell'uomo stregato.
La bocca torna a sprofondarsi a labbra schiuse sul ghiacciolo.

Ormai resa solo l'ultima parte dell'asta fredda.
Il cartoccio stretto fino a dolere nel pugno serrato.
La donna smeraldo e l'uomo delfino uniti nella danza

e nella fine di un piccolo stecco di ghiaccio aspro.
L'uomo sdraiato di pancia dorme ancora, sudato anche adesso sulla schiena, arrossata dal sole, per il sole velato e appiccicoso.
La donna del giornale ha reclinato la testa rossa su un asciugamano piegato e, sdraiata,

anch'essa ha preso sonno.

E' l'ora della spiaggia svuotata per il dopo pranzo e la siesta.
Restano libri appoggiati sotto gli ombrelloni e le sdraio.
Teli lasciati in spiaggia per il ritorno pomeridiano.
Giochi di bambini rimessi giusto nell'area riservata dell'ombrellone di famiglia.
Anche la donna con la canotta rossa tagliata dalla scritta bianca riposa il suo sguardo.
Nessuno in acqua.
La spiaggia più simile ad un deserto che ad un arenile all'ora più calda.

Dopopranzo sonnolento di chi si è fatto irriducibile e non lascia il posto.

Poche persone in spiaggia.

La donna del calippo sta straziandone le ultime gocce.
Non è nemmeno più così mascherata la danza dalla mano della bocca degli occhi e della lingua.
Succhia l'ultimo pezzetto giallo con un sorriso rivolto all'uomo che la guarda.
Po strizza lenta in cilindro svuotato a spremerne ogni goccia mentre coi denti,

a bocca socchiusa schiaccia l'ultima scheggia gelata.
Le cola dalla bocca sull'attaccatura del seno un velo vischioso di sciroppo

mentre beve dal cartoccio.
Il succo sciolto dalla mano che stringeva.
Con due dita, ora, carezza la scia lenta sulla pelle.
All'attaccatura del seno, a filo di costume.
Un dito scivola a pulire sotto il tessuto orlato.
Succhia le dita e le lava.

Sorride all'uomo del delfino.
Si alza, con calma, il cartoccio in mano.
Infila i sandali infradito neri.
Il cartoccio secco.
Stretto nel pugno.
Si gira, e risale, calma e regolare nel passo, affondando alterni i piedi nella sabbia, la spiaggia.
Lascia cadere il cartoccio nel cestino azzurro, otto passi ancora ed è alla cabina.
La donna del calippo non si gira.
Non ha bisogno di farlo.
Sa senza voltarsi dell'uomo che affonda i passi alle sue spalle.
Della sua voglia coltivata da lei leccando e succhiando un pezzo di ghiaccio giallo chiaro.
La donna smeraldo apre la cabina e lascia la porta socchiusa alle sua spalle.
L'uomo delfino chiude la cabina con ansia, con il catenaccino, appena entrato.
La donna, inginocchiandosi nello spazio ristretto, si attacca, si ancora, ai suoi fianchi.
Scende in ginocchio, accompagnando la discesa sua con quella del boxer

a cui ha ancorato le mani afferrandone l'elastico sui fianchi.
L'uomo delfino è teso, i boxer a circondargli le caviglie, teso davanti alla bocca

e alla lingua gialla di ghiacciolo.
Nessuna mano si interpone, offre aiuto, direzione o distoglie dal gesto.
Nessun contatto inopportuno.
L'uomo delfino affonda nella bocca.
La bocca si fa guanto.
Sul cazzo il caldo delle labbra.
E dentro, al chiuso del palato.
Il fresco della grotta.
La lingua gialla morbida e ghiacciata che lo carezza.
Si fa cuscino freddo e scarica di tensione fin nella schiena.
L'uomo si scioglie.
Al caldo di una lingua di ghiaccio.
Gialla, di limone.

 

 

 


 

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