L’uomo è bloccato nell’auto.
E’ solo in auto in quel serpente con tre schiene e tre spine dorsali ininterrotte.
Sono bastati poca neve e l’esodo dalla città nel venerdì pomeriggio, anche fuori dalla buona stagione, e i camion che hanno le consegne da fare ovunque entro sabato. Perché 20 chilometri di autostrada impazzissero e diventassero tre ore.
A lato ha un muro di motori, cassoni, containers variopinti su ruote, motrici che sembrano dinosauri, qualche auto incosciente che si fa stringere tra i muri di lamiera ansanti, fermi , col motore che pompa e minaccia come un cuore troppo forte, compresso e caldo.
L’uomo nella macchina grigia pensa.
Immagina i suoi viaggi, mentre è lì fermo, quelli sciolti e quelli felici.
Immagina la strada che corre.
Immagina il gioco delle sue mani sulle cosce della donna. Tra le cosce di lei, sul sesso nascosto.
Mentre il suo sesso si tende e soffre nei jeans, in quella caccia della sua mano tra le cosce della donna che gli è seduta accanto.
La danza delle dita della mano prima posate calme, alte sulla coscia. E poi insinuate in mezzo, mentre lei si inarca e le sue dita e la mano libera dal volante partono alla ricerca dei due tesori nascosti, che non può penetrare lì, celati dai vestiti, per farle lacrimare e diventare caldo il sesso. Mentre scivola con l’auto tra le auto.
Mentre dalle auto che supera o incrocia ruba e porta via probabilmente lo sguardo incredulo di chi per un attimo solo li vede e li guarda.
Mentre sorride, con lei, del cambio automatico, grande invenzione – e ride nel dirlo felice come un bambino un po’ troppo viziato forse – grande invenzione che ha scoperto anni prima. In paesi dove esiste solo quello, dove serve a rispettare meglio i limiti di velocità in interminabili serpenti di auto.
Sorride perché quel cambio ha un dono extra: lascia libera a chi guida la mano destra.
Libera sempre.
Di giocare e farsi serpente.
Ariete irruente e puttana suadente, sottile come l’aria e forte come un sasso scagliato a rompere la superficie del lago ghiacciato in mille schegge. Libera di sfiorare, spingere, stringere.
Afferrare, torcere, carezzare poi dolce come latte di mandorla nel bicchiere nell’estate torrida.
Ha chiuso gli occhi l’uomo nell’auto adesso, come li avrebbe chiusi forse la donna, dopo aver tentato di schernirsi e sottrarsi al gioco, desiderando solo che lui non desistesse e vincesse quella piccola battaglia resistente.
Riaprendoli vede che il serpente di auto e camion è avanzato pochi metri solamente, ancora, in quel tempo di pensiero che a lui è parso esteso quasi non avesse inizio o fine. Posa la mano sul cambio che aveva messo in posizione di parcheggio.
Pensa alla carne di lei sotto la mano, sposta la leva indietro.
Senza schiacciare alcun pedale l’auto avanza, prende l’abbrivio e colma la distanza di quei metri.
Poi mette ancora in P la leva.
Socchiude gli occhi e, mentre i camion soffiano aria dai freni, e le auto sciolgono la neve che ha ripreso a cadere fitta sopra i cofani bollenti, ad occhi chiusi se ne va altrove, torna dov’era.
Sorride nuovamente.
Se dalle auto ferme affiancate lo guardassero con un po’ più di attenzione adesso, si chiederebbero come si faccia ad essere così felici e sorridere così dopo tre ore in quell’inferno.
Ma lui non è più lì, adesso.
Nuovamente vola.


 
 
 
 
 
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