La gonna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- L'hai scelta?
Hai trovato quella che va bene? -

All'altro capo del filo, silenzio. Poi un respiro più forte.

- E' corta abbastanza, ma non troppo vero? Mi piacerebbe appena appena sotto il ginocchio. -

All'altro lato del telefono ora è nettissimo un sospiro, come di fiato trattenuto.

- Allora domani metterai, per me, quella. -

Daniele è nel parcheggio sotterraneo.
Supermercato, ampio e diviso da colonne, poche auto nella giornata di lavoro, in quell’orario inconsueto.
Auto che si affiancano, caricano bagagliai di sacchetti, poi il rumore dei carrelli che sembrano correre su rotaie e non sul suolo liscio. Il crescere di un motore che preannuncia lo stridio delle gomme, in curva sul pavimento lucido e liscio.
Aspetta.
Daniele, seduto, la radio accesa con la musica che scorre sottovoce, senza che lui quasi nemmeno la senta.
Si avvicina un'auto.
Lui la segue con lo sguardo e la vede svoltare.
Parcheggia quattro spazi vuoti oltre la sua.
Non è la sua.
Poi eccola arrivare. In silenzio quasi, come se l'auto scivolasse e non fosse spinta dal motore.
Curva. Poi un’altra curva.
O forse è solo una delle sensazioni della sua attesa, quell’improvviso e innaturale silenzio. Che cancella in quel momento col suo fiato che rallenta, e si sospende un istante, anche i suoni.

- Arriverai e parcheggerai vicina a me, con lo spazio di un’auto libero tra le nostre. -
Lei tace e lui sente che è ancora lì solo dal rumore del respiro di Anna nel telefonino.

L’auto manovra, prima avanti e poi indietro.
Avanti ancora raddrizzando le gomme.
Due giri a 45 gradi del volante e l’auto si ferma.
Tra le due auto resta nudo lo spazio delineato dalle righe gialle, vuoto. Un paio di metri, terra di nessuno, coi segni neri lasciate nel tempo dalle manovre di altre gomme.
Daniele è seduto, con la portiera aperta.
Dal lato del passeggero.
Le gambe fuori dall’auto, lui seduto di lato, a traverso, e guarda la manovra e poi l’indugiare della sagoma, nell’abitacolo buio, segue con lo sguardo prima l’auto farsi immobile e poi la donna dentro che sembra in ombra, e non si muove.

- Scenderai dall’auto e ti fermerai, in piedi, tra le nostre auto, in mezzo.
Tra le due auto parcheggiate. -

Si apre la portiera ora.
La luce dell’abitacolo illumina di scatto il volto della donna.
La mano sinistra ad accompagnare la portiera, Anna ruota sul sedile su se stessa, e ora è fuori con le gambe e le ginocchia.
Ha stivali morbidi ai piedi e, sollevata sulle ginocchia, a quasi metà coscia, nel movimento di torsione e nel gesto dell’uscita, la gonna.
Scende dall’auto come scivolando a terra, la gonna le sale sotto trattenuta dal velluto del sedile, lei esce dall’abitacolo, la gonna cala nuovamente. Anna ha gli occhi bassi e non lo guarda.

- Ti fermerai tra le due auto. A metà strada. Con la portiera aperta.
Voglio che la luce dell’abitacolo resti accesa e ti illumini da dietro mentre ti prepari. -

Lei ha gli occhi bassi e guarda in quel modo, da sotto, intorno. Sa che lui non vorrebbe lo facesse.
Guarda intorno, che nessuno sia lì vicino adesso si ripete nel pensiero, ossessiva, un po’ impacciata, e ascolta i rumori del parcheggio.
Esita e sussulta ad ogni stridere di gomma in curva.
Al rumore di un cambio.
Respira a ritrovare fiato dopo ogni rumore nuovo, perché li sente abbastanza lontani, ma è lì ferma.
Esita o attende.
Immobile tra le due auto fiancheggianti, con le portiere aperte come ali.
Sospesa con le parole della loro telefonata che le riempiono la testa, lì nella terra di nessuno tra le due strisce gialle sporche.
Il gioco che lei aveva cominciato. E poi le sue richieste.

- Non l’ho mai fatto, né pensato mai di farlo, sai?
Ma con te è come se qualcosa in me si risvegliasse…-

Gli aveva detto.
Anna porta le mani ai fianchi e poi, a scendere, quasi cadendo ai lati della gonna.
Perché tutti quei rumori ? lei vorrebbe il silenzio e l’assenza di qualsiasi segno di persona intorno.
Poi come se le riprendesse da dove erano a giacere, riprende le sue mani quasi e le insinua sotto l’orlo, ai lati della gonna, alzandola di lato poco.
Quasi che le mani fossero diventate pesanti o riattaccate per incanto ai polsi e difficili da comandare e muovere in quel momento.
Ora la gonna è appena sollevata sulle cosce. Ai lati, e le mani si sono nascoste sotto.
Accelerate appena un poco, in modo quasi impercettibile nel movimento.

- Devi fare tutto con calma, lentamente, sentire il sapore di ogni centimetro dei tuoi movimenti.
Assaporare ogni istante del tuo gesto e offrirmelo.
Non devi perdere nessun sapore né negarmi il piacere di assaporarlo. -

Le mani sono all’elastico delle mutandine adesso.
Si fermano e lo stringono, sui lati, alte sotto la gonna sollevata, il pollice sotto l’elastico, e loro, le mani, ferme.
La gonna ai lati sembra sollevarsi come un tendaggio, il gioco di un sipario morbido, rialzato, anse e curve, volute e impennarsi alto, arricciato sopra ai polsi, sulle cosce.
La pelle nuda sembra avere freddo.
Nella luce un po’ metallica del parcheggio, lì sotto.
Sembrano impallidite e velate di giallo.
Lei non osa nemmeno più guardare di sottecchi se qualcuno la vede.
Mischia senza pensarci né averne coscienza quasi, paura e voglia.
Anche lì sotto, in mezzo alle sue cosce.

- Mi guarderai negli occhi mentre le sfili. Lentamente.
A me farà piacere, che tu lo faccia. -

Alza lentamente lo sguardo.
Come a scivolare.
Inquadra il pavimento e le righe segnate dai battistrada.
Poi come il muoversi dell’ombra su una collina all’alba, sale.
Muove la riga dello sguardo a correre, e colmare, prima al suolo poi risalendo come un’alba, la distanza.
I piedi di lui posati a terra.
Poi le sue gambe.
Le risale con lo sguardo.
Daniele è seduto con le gambe un po’ divaricate.
Gli sale con gli occhi tra le gambe. Indugia con lo sguardo, a cercare tra le gambe di lui un segno visibile procurato dallo spettacolo che gli offre e del suo effetto.
Il rumore del parcheggio intorno è ora solo un tutt’uno indistinto. Che lei non distingue e percepisce.
Come se fosse filtrato da una pesante porta.
Lo sguardo sale e raggiunge il petto.
La giacca aperta, la camicia, il collo e il viso.
Arriva risalendo fino a legare gli occhi. Con gli occhi.
Lui la sta guardando.
Sorride.
All’aggancio degli occhi, sembrano fino far rumore all’unione dello sguardo, e fare male come se fosse un urto, i pollici cominciano la pressione.

- Lo farai lentamente: che io nemmeno realizzi il movimento…-

Spingono di lato.
Il tessuto segue l’elastico, si arrotola su di esso.
Ora a lato è come una corda. Tesa dai pollici. Intrecciata e arrotolata.
Sfrega, scendendo, tesa, con l’unghia, posata sulla carne. Sulla pelle.
Scivola l’unghia, scende con la lentezza di un fotogramma, e con essa il tessuto.
Lei si flette, sulle ginocchia un poco, per continuare la discesa, appena le mutandine raggiungono quasi il ginocchio.
La gonna scende posata sui polsi, al calare del tessuto e delle mani sotto, come un sipario, mollemente, a ricoprirle un po’ le cosce.
Tra le gambe stagliata e netta una striscia bianca e tesa. Calata dalle mani a scendere fin lì dai fianchi.

- Non smetterai di guardarmi… né io di guardarti…-

Lei nemmeno lo potrebbe ora.
Gli legge la voglia negli occhi come se gli occhi di lui si fossero fatti specchi.
Anna legge la sua voglia, increspata nel riflesso dei suoi occhi.
Riflessa.
Occhi di lago mossi da quel movimento.
Lento.
Atteso e rimandato dalla lentezza.
E i polsi, al cogliere del riflesso e della voglia di Daniele, le diventano più forti.
Allarga quasi con sfida un po’ le gambe. Così lentamente all’inizio che lui quasi non se ne accorge.
Poi con un gesto secco,a prendere possesso con le suole del nuovo assetto..
Il tessuto si tende, allo schiudersi delle gambe, fino a sembrare impossibile aumentarne oltre la tensione dritta.
A ponte, teso al limite dell’elastico, tra le ginocchia, e poi a scivolare sui polpacci.
Il sorriso di lei è come un lampo.
Al cogliere lo sguardo di Daniele che ora si è perso, lei acquista luce nera, traslucida e lucente.
Una luce tesa e che non trema nemmeno se c’è vento.
Si ferma così, prima di flettersi, ancora.
Assapora l’attesa di lui.
La prolunga.
La controlla. Adesso la governa.
Sente quasi il respiro di lui che si ferma. Non sente altri rumori intorno adesso.
Lo percepisce il fiato, come se fosse denso e visibile, come se porgendo una mano lei potesse toccarlo e scaldarsi, col respiro di Daniele, adesso.
E lei si ferma.
Lo tiene sospeso lì, incollato ai suoi gesti.
Ad aspettare, oltre la volontà e il previsto, sospeso, l’alzarsi di una caviglia e poi dell’altra.
Appeso alla sua lentezza, a respirare col ritmo fermo, interrotto, non suo, che lei ora ha deciso per entrambi.
Gli strappa un ultimo respiro forte, percettibile in quel silenzio e in quell’attesa, al sollevare, non preannunciato nemmeno dal muscolo a contrarsi, della prima gamba.
Sfila il triangolo bianco dalla scarpa.
Rimane lì con una gamba sola prigioniera. Il tessuto ora è morbido come una bandiera bianca. Cade sul polpaccio, retto solo dalla mano destra.
Sfila l’altra caviglia. E senza smettere di sostenerne lo sguardo, con il tessuto stretto in una mano, guarda Daniele e avanza.
Si avvicina.
Gli è ferma davanti e posa, con calma, lo slippino sulle sue gambe.
Non ha nemmeno freddo, sulle gambe, tra le gambe. Non sente l’inverno carezzarla.
Poi, lenta, nel silenzio, accoglie la sua mano tra le sue.
Il polso di Daniele a sollevarle, nel mezzo, davanti, la gonna, lei alta di fronte a lui seduto.
La mano che risale sulla coscia, sfiorandone l’interno, lenta come se passeggiasse e non avesse fretta.
La bocca di Anna adesso è schiusa al tocco, sotto, sulle labbra.
A sguardi incatenati lui la tocca. La schiude, la esplora e bagna le sue dita. Si insinua e si ferma.
Carezza per tutta la lunghezza il taglio, la mano invisibile, nascosta, trattenuta, le dita prigioniere in lei, ad occuparla senza forza, sotto il tessuto della gonna.
La apre e la carezza, ci si intinge.
Poi porta la mano che ha sfilato, al suo viso e alla bocca.
La gonna resta appena un po’ arricciata lì davanti, poi scivola morbida da sola, ricade, e si distende senza che lei nemmeno la tocchi.
Solo l’orlo rimane leggermente rivoltato, dove prima era stato girato su se stesso, capovolto, dalla spinta di Daniele col polso.
Lui bacia e lava dalle sue dita il sapore della voglia.
Mangia il sapore fino a lucidare di saliva, nella bocca ogni falange.
Solleva le anche e si scosta.
Scivola sul sedile del guidatore.
Ora Anna è seduta al suo fianco.
Lui ha nella tasca del giaccone, aggrovigliato, il piccolo tessuto bianco.
L’auto si accende, si accendono le luci a tagliare il sotterraneo disegnato a righe gialle.
Lasciano il parcheggio, e stride un po’ la curva sotto le gomme.
La mano di Daniele è posata, a cavallo, leggera e calda, sulla coscia di Anna.
La mano di Anna è sulla sua, lì, chiudendola tra mano e coscia, a serrarla stretta nell’ abbraccio del palmo e delle dita.



(dedicato)

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