E fu così che Matteo, ma non lo disse a lei, provò una sensazione che non aveva conosciuto prima.
La vergogna.
Lei non lo vide, legata, il rosso sul suo viso.
Non si doveva permettere di bere, non quella volta, non con lei, non col gioco che da giorni coltivava con desiderio nei suoi pensieri. Aveva bevuto, era eccitato, lei così sconvolgentemente bella con quel suo odore di ormoni che portava sulla pelle e nei capelli. Lei quando si eccitava, con la pelle, anche così gli parlava. Fu quell’odore.
Mescolato all’alcol e all’eccitazione a fargli tremare un attimo solo la mano e a far inciampare la corsa della lama.
Gli salì il rosso al volto, un senso di angoscia improvvisa, non rendendosi conto – lì di sangue sotto la pelle ce ne era molto e molto ne affiorava – della gravità o meno del suo errore.
Poi arrossì più forte.
Lei non gridava, ascoltava il calore colarle sulla coscia, probabilmente nemmeno ancora le bruciava. Arrossì più forte, perché si scoprì ancora più eccitato e quasi costretto, dopo l’incidente, nei jeans dalla pressione e dall’urgenza della sua erezione. La baciò. Le chiese scusa.
Si inginocchiò a pulire il taglio, meno grave di quello che temeva, lei sulla poltrona dove ora sedeva si sentiva una piccola regina capricciosa, gli carezzò i capelli, il gesto venne spontaneo e lui arrossì di nuovo.
Lei si chinò in avanti.
Gli disse piano, sottovoce.
Sussurrò alla testa china sul suo grembo dell’uomo che puliva e medicava.
Ma a lui sembrò un urlo.
- Ecco, adesso anche col sangue, io sono tua.
 

 

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