Il tempo della neve

 

 

 

 

 

 

 

Il tempo delle neve arriva con il velo del silenzio.
Si preannuncia con la tinta rosa, la luminescenza e quel senso di sonno, di torpore caldo che fa scivolare sotto le lenzuola l’uomo e la donna.
A cercare il calore dell’abbraccio.
Il tempo della neve, quello che quasi impedisce, mentre la città si fa bianca di sposa, quasi il risveglio, nel mattino senza silenzio delle strade.
-Mi sono svegliato tardi, la sveglia non può non essere suonata...- , lui balza nel letto.
E’ solo la sonnolenza della neve. Non una suoneria svogliata.
La sonnolenza insita nella discesa quasi sospesa a mezz’aria per la notte intera.

L’uomo e la donna nella luce rossa leggera alla finestra stringono i corpi sotto le lenzuola.
Lei abbraccia tra le gambe la sua coscia.
La tiene prigioniera e sembra avvinghiata ad un tronco, il busto staccato da lui, ad angolo come un ramo dal suo uomo.
-Non lascerò mai più la gamba, sappilo, è mia- e ride.
Lui sente la stretta, lei sembra volergli far sentire quasi la sua forza.
Ma non cerca di ritrarre quella gamba.
Anzi la spinge.
La spinge quasi tirandola su, verso l’alto.
A conficcarsi più stretta in quell’abbraccio, gamba tra le gambe.
-Stai bene prigioniero qui vero?-
Lui non parla. Ad occhi chiusi spinge alta la sua gamba.
Fino alla fine della corsa tra le cosce. Fino a dove il corpo di lei si spacca. Si fa compasso, gambe e fulcro caldo e umido in mezzo.
Lui, lì, ad occhi chiusi, a sentire la carezza calda e cedevole sulla coscia.
-Ora non scappi più, la gamba e mia. Io non te la rendo-

L’uomo ad occhi chiusi e il respiro di chi dorme o finge di farlo. Forza di più la coscia.
Lei sotto la spinta e la pressione, si schiaccia morbida, e sembra morbido persino lì, alla coscia, sotto, anche l’osso.
Sente la coscia umida col bacio che si scioglie e che lo accoglie.
E senza aprire gli occhi o mostrare alcun altro movimento o di essere sveglio, muove la coscia.
Prima in modo quasi impercettibile.
Leggero, come se fosse solo uno scivolare nel sonno a cercare un abbraccio più avvolgente nel letto.
Poi più insistito.
Nella pressione calda e ferma.
Poi il muscolo che si era fatto sasso a sciogliersi nuovamente.
Bagnato ora, lì, in alto sulla coscia.
La donna sembra un ramo che voglia staccarsi dal suo tronco.
Ora non è più lei a serrare e imprigionare.
Accoglie la spinta, lo sciogliersi, quasi ritrarsi e poi la risalita a colmarla tra le cosce come se fosse lei la prigioniera e non quell’unica gamba stretta tra le sue.
Alla spenta che risale e schiaccia, sfrega, contrae il muscolo e lo rilascia, lei aumenta la sua stretta.
Ad imprigionare la voglia e la coscia.
L’onda della gamba tra le gambe si ripete e si rinnova.
Senza musica a dare ritmo.
Pulsare senza logica della gamba a rompere ogni resistenza alla voglia.
Spinge, si contrae. Rilascia e si scosta quasi a ritrarsi dal bacio delle labbra.
Loro sembrano inseguire quel contatto, spinte dalle reni della donna.
E quando sembrano aver ripreso un umido contatto, quando sembrano vicine a schiudersi su quella carne prigioniera, lui spinge.
Anticipa il momento che lei attende.
Schiaccia e sfrega.
Muove e contrae e schiaccia.
Poi si rilascia come se si ritirasse.
La neve fuori ora è così fitta da aver tinto di rosa la finestra come se si fosse tirata una tenda colorata e trasparente.
Scende così fitta che sembrano i fiocchi puntini sospesi, che non cadano nemmeno, che siano lì a punteggiare di bianco la strada e la città dietro il vetro.
Solo il movimento del lenzuolo tradisce l’amore della gamba per le gambe.
E la loro vicendevole rincorsa.
Spinta dopo spinta.
Serrarsi strette ogni volta come a voler spremere la carne che tengono in prigione ogni volta.
-Ora sei tu mia prigioniera e non puoi più lasciarmi-
L’uomo scivola sul lato, la gamba si sfila nella morsa che scivolando su di lei lui allenta.
La prende, aperta, allargando il suo compasso fino a incastrarsi tra le anche.
Lei ora chiude gli occhi.
Ascolta l’uomo col suo ventre.
I prigionieri, nella luce rosa che filtra, nella stanza, al tempo della neve. Da fuori, solo luce che entra colorata, e il rumore, croccante, di poche auto, nella città sospesa.


 

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