Il tremito dei fianchi

 

 

 

 

 

 

 

Il tremito dei fianchi.
Appena lui li sfiora e ne prende possesso. Appena sollevando e penetrando la sua maglietta.
Anche di anfora che serrano il fiato della donna e lo fanno solido nel ventre.
Il calco delle mani. Posate lì come se lasciassero impronta scolpita nella pelle. O cercassero il calco che da lì sempre le attende.
Posate lentamente. Leggermente come si afferra qualcosa che scotti al tatto.
Calde a dare brivido.
E al tempo stesso fredde a fare bollente, sotto di loro, la pelle.
Il tremito della pelle al passaggio delle dita, che sembrano farsi calamite, sollevarla solo a sfiorarla, attirarla in una corsa ad aderire ai polpastrelli, cinque dita che posano scostate, cinque tocchi per fianco.
Poi. Cinque spade.
Dieci, adesso.
Appena dietro le reni ora.
A cercare un ancoraggio. Un porto per stringere e serrare. Avvicinare il corpo al corpo.
La schiena si ritrae e il corpo si spinge avanti, solo al contatto. Come un brivido o una scossa.
Il ventre ad aderire al ventre come a cercare scampo.
A farsi stretta la schiena per sfuggire al calore che lei sente. Il moto delle dita appena appena, a prendere possesso e cercare di farsi letto sulla pelle della schiena .
Inevitabile.
Arriva come l’atterraggio della luce nel bicchiere a strappare riflessi di rosso e porpora al calice di vino. La pressione delle dita calde e il contatto.
Reni che suonano come tastiere.
Rabbrividiscono i dieci baci la pelle al contatto, e aderiscono, scavandone nervi e voglie.
Il tremito è sciolto in tutto l’abbraccio ora. Nel ventre che trattiene il fiato e vibra come la corda tesa tra due pali, lì sul tetto, sotto il gioco del vento.
Le mani salgono sotto la maglietta sulla schiena.
Leggere e calde, adesso, morbide e sciolte di calore e sensibili come se fossero di cera sciolta, scaldate e fuse dal bacio della pelle.
Muovono il brivido a salire inesorabilmente.
Lo spingono come spianando un telo e contemporaneamente arricciandolo sotto i polpastrelli.
Tensione piccola e vibrante di corrente.. Sospinta dalla carezza a lambire, su su, la schiena.
Dita che vorrebbero farsi dieci bocche.
E dieci lingue.
E strisciare di saliva calda. Lambendole la schiena.
Lavare e preparare la pelle.
A raccogliere, umida e calda, il brivido sottile che corre e che la fa increspare. Per sentirla e vederla pulsare sotto il tocco della punta della lingua. Quasi a cercarne, poi, con una spinta del culo e delle reni, incontro alla bocca, l’affondo, lei farsi piatta e larga e aderente e calda, e il contatto più forte e violento.
La mano destra ora afferra salda dietro la schiena e spinge.
A far spegnere il tremore, lì, chiuso tra loro, affondandolo nel suo corpo che la stringe. A perdersi vibrando nell’altro ventre.
L’altra mano solleva il viso della donna che, mentre lui la stringe, si è abbassato.
Lui vuole i suoi occhi. A guardare anche loro l’incontro delle bocche e della loro sete.



 

 


 

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