| La prima volta che lei ebbe la frusta in mano arrossì. Era arrossita già ordinatogli di spogliarsi davanti a lei in quella 
		stanza. Ma nella penombra della camera al motel aveva in cuor suo 
		desiderato che lui non cogliesse quel rossore.
 Lui, nudo, aveva posto sul letto davanti a lei i piccoli oggetti.
 Polsiere, un collare, i moschettoni di acciaio lucido per unire i polsi, 
		con gli anelli uniti al cuoio nero. Le pinze unite dalla catenella, 
		chiuse, in attesa, e lei aveva avuto un piccolo brivido al rumore di 
		quel metallo fatto di minuscoli anelli posato sul copriletto di raso 
		rosso.
 Poi la frusta.
 A lei quasi mancò il fiato e si disse che non sarebbe mai stata in grado 
		di colpirlo.
 Ma per curiosità la sfiorò con le dita, mentre lui, abbassati gli occhi, 
		non la vedeva.
 Ne sentì il corpo agile e sottile, le dita parvero vibrarle nel 
		contatto.
 Si sentì bagnata.
 Senza quasi motivo.
 Quasi che le sue paure lì, tra le cosce sortissero ben altro 
		significato. Lui alzò gli occhi un attimo solo.
 E vide la mano di lei stringersi sull’impugnatura.
 Forse fraintese, ma si portò verso il muro. Senza che lei nemmeno lo 
		chiedesse.
 Allargò le cosce, i piedi divaricati al suolo. Posò le mani al muro a 
		lato, alte.
 E attese.
 Lei ebbe un attimo di smarrimento. Al vederlo lì così capì di avere solo 
		due vie davanti. Alzarsi e carezzarlo. Baciargli la schiena, scorrere il 
		corpo con le mani e portarlo verso il letto. Oppure.
 La mano rispose per lei, perché la scoprì stretta, quasi a cercare 
		conforto e coraggio sulla sottile impugnatura nera. Si alzò, aveva 
		ancora tempo di cambiare idea e programma. Pensò.
 Sì, l’aveva ancora.
 Giunta alle spalle di lui vide i suoi muscoli contrarsi senza che 
		nemmeno lei, se non con lo sguardo, li avesse sfiorati. Ne percepì il 
		respiro farsi corto, teso, affannato.
 Non si toccò, ma sentì farsi liquido, lago, lì tra le cosce. E alzò, 
		tanto poteva fermarsi ancora, si disse, la mano. La portò indietro e 
		d’istinto la strinse più forte sull’impugnatura.
 Fu forse il gemito uscito senza volontà dalla gola di lui straziata 
		dall’attesa a fare iniziare la corsa della mano. Si fermò solo dopo che 
		la punta di cuoio aveva colpito lui, e nonostante lui la attendesse gli 
		strappò un urlo dal fondo della gola come se fosse giunta totalmente 
		inattesa.
 Gli vide serrare il culo dalla velocità del morso di fuoco del dolore. 
		Poi rilasciarsi. Insieme al respiro che sotto il colpo a lui era 
		mancato.
 Portò indietro la mano. Ancora.
 "Cosa devi dirmi ora..?" e si stupì del rantolo che le uscì al posto 
		della voce.
 "Uno…"
 "Grazie, Padrona…"
 La ragazza ebbe voglia di toccarsi. Fortissima. Solo a sfiorarsi avrebbe 
		gemuto da sola.
 Ma caricò la spalla, sentì il suo stesso ventre tendersi mentre lo 
		faceva, il cuore batterle all’impazzata, portò il braccio indietro e 
		attese.
 Che lui serrasse i muscoli più volte, offrendoli a lei così nella sua 
		attesa. Perché il cuoio lasciasse un altro segno rosso sulla sua pelle 
		chiara.
 Ancora.
 
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