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Lei prese la
digitale. Saturando di colori e luci quell’estensione
intangibile della memoria. Cento scatti, si inclinò, arretrò,
avanzò. In ginocchio sul lastricato. Sul muretto, facendosi
aiutare, non è che lei sia proprio un’atleta o una equilibrista.
Aspettò e fece aspettare chi era con lei che la luce fosse
quella giusta. Che passasse quella nuvola. Che arrivasse quella
nuvola. Sulla chiesa. Cercò di fare entrare nei megabytes odori
e suoni. Sapeva farlo quando li sentiva col cuore. Piazze,
persone, ombre. Quel portone. Una prospettiva dei tetti. La luce
è una emozione. Vibra, non è fisica, non ha corpo, vibrando crea
i colori. E lei vibrò, presa dalla febbre del rubare attimi alla
sua stessa vita. L’uomo lontano, scrivendo, già vede l’emozione
da bambina che avrà lei. Dopo, nel mostrare, raccontare, una
febbre convulsa. E sorride. Del miracolo - dolce - di una
vacanza. |
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