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Si era seduto a
gambe incrociate sul divano. Il portatile sul bracciolo
accoglieva le lettere man mano che gli cadevano dalle dita. La
donna dai capelli profumati di bosco in estate, muschio, fragole
un po’ aspre, umido denso e odoroso di felci e rovi, aveva
posato, sdraiandosi, il capo nella cesta intrecciata di gambe,
polpacci e piedi di lui. Le lettere correvano veloci, sullo
schermo acceso, e parlavano di un inverno finito, del funerale e
della voglia di risorgere del cuore. Di luci forti e poi di bui
spaventosi. E poi di mare. Di mare. Di mare. Sentì il calore del
respiro di lei posarsi sul collo dei suoi piedi, al carezzarle i
capelli, mentre scriveva. Una mano sui tasti, una a intrecciare
e sciogliere, nodi e sospiri. Sentì le labbra di lei lievi, in
un bacio sul collo del suo piede. Lasciò i tasti, la aiutò a
risalire. Le baciò le labbra, poi le morse. Le rubò l’anima.
Tagliandole il respiro. |
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